venerdì 11 marzo 2011

La favola del piacere


"Forse non è vero, ma è noto che un giorno gli uomini furono uguali; e nobiltà e plebe furono termini sconosciuti. Uno stesso istinto, una stessa forza spingeva gli uomini verso il cibo, il bere e il sonno: non avevano alcuna volontà, nessuna possibilità di scegliere tra le cose, i luoghi o i momenti.
I primi antenati si ritrovavano insieme allo stesso fiume per bere, allo stesso albero da frutto per mangiare, alla stessa ombra per riposarsi, come gli antenati della tanto disprezzata plebe.
Le stesse grotte, lo stesso suolo offrivano loro riposo; e si vestivano con le stesse vesti di pelo di animale. Solo una preoccupazione era comune a tutti gli uomini: sfuggire il dolore, e il piacere non era ancora conosciuto.
La situazione egualitaria degli uomini non piacque agli dei che inviarono sulla terra il Piacere. Come già avevano fatto sui campi di battaglia di Troia, Piacere scese lentamente sulla terra attraversando l’aria; e questa è felice per una sensazione che non era mai stata conosciuta.
Accarezza il corpo degli uomini e sfiora i muscoli del nobile a cui intorno si aggirano la Bellezza e la Gioia. Dolci come il miele, le lusinghe scorrono sulle labbra rosse come fragole; e dagli occhi escono scintille di luce tremolante con le quali si infiamma l’aria mentre lui sta scendendo.
Infine sulla tua schiena, o Terra, si stampò la sua prima impronta; e subito si sparse dappertutto un tremolio soave. E sempre crescendo scosse le viscere della natura: come da lontano si sente arrivare il tuono nelle notti d’estate, e col suo suono profondo sorge di monte in monte, e nella foresta e nella valle riecheggia il rimbombo, finché piove che riconforta, ravviva, rallegra gli uomini, gli animali, i fiori e le piante.
Fortunati fra tutti i mortali voi che Prometeo ha generato in maniera perfetta il nobile corpo inondandolo di fluido altrettanto nobile. Voi sentiste le ignote sollecitazioni del piacere. In voi velocemente si formarono le voglie che producono il desiderio.
Voi per primi scopriste il buono e il meglio; e con dolcissima foga correte per ottenerli.

Tra tutti i sapori voi coglieste i più dolci: e quindi preferiste il vino all’acqua; e si scelse il vino ottenuto da grappoli esposti maggiormente al sole e da terre con il terreno ricco di zolfo.
Così l’uomo si divise: e il signore si distinse dai plebei nel cui petto troppo a lungo rimasero intorpidite le insensibili fibre nervose, incapaci di reagire agli stimoli soavi del Piacere che pure aveva toccato anche loro e come i buoi sono ancora curvati dallo stimolo del bisogno.
E furono nati per vivere tra l’avvilimento, il lavoro e la miseria e per essere chiamati plebe. Ora signore che racchiudi nelle vene sangue purificato attraverso mille reni dei tuoi antenati nobili, che non hanno mai conosciuto il bisogno, poiché in altra età abilità, violenza o caso resero grandi i tuoi antenati, poiché il passare del tempo ha finalmente radunato in te le ricchezze che prima appartenevano a più famiglie, gioisci delle tua capacità di sentire piacere, che è il destino assegnatoti dal cielo; e l’umile volgo intanto che ha ricevuto in sorte il lavoro, ora fornisca a te gli strumenti del tuo piacere, egli che è nato per servirli alla mensa del nobile, non per goderne."

La Morale:
In questa favola il Piacere diviene l’elemento di rottura alla piattezza umana, ma nel mettere in luce “il buono e il meglio” darà vita al peggio e al misero. Un favoleggiare? O un semplice saper pensare e anticipare quel che la società moderna spesso ci viene ad offrire?

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